Non è certo il tempo dei bilanci, per Alessandro Gatti. La strada che ha intrapreso, quella di allenatore del settore giovanile in una delle società più blasonate e rispettate della pallacanestro italiana, è un viaggio appena iniziato. Ma è pur sempre la terza stagione in casa Virtus, per giunta inoltrata, e può bastare ad un ragazzo con la testa sulle spalle per rendersi conto di dove si trova e di dove vuole andare. Il presente è l’impegno da secondo assistente di Giordano Consolini nell’Under 16 di Unipol Banca, e da primo assistente di Davide D’Atri per la categoria Esordienti. Quanto basta per migliorare anche il proprio percorso professionale.
“E’ il terzo anno che lavoro a fianco di Davide, ho iniziato con lui questo viaggio in bianconero. Con Giordano sono alla seconda stagione, e voglio ricordare che fu lui a chiamarmi qui con una telefonata, nell’estate del 2014. Quando si è trattato di organizzare la stagione in corso, mi ha voluto ancora al suo fianco, e l’ho considerato un segnale di fiducia che mi rende orgoglioso”.
Quest’anno, con D’Atri, avete intrapreso una nuova avventura.
“Ci è stato affidato il gruppo dei nati nel 2005, gli Esordienti. Per me è uno stimolo nuovo, perché sono ragazzi che devono iniziare il percorso che li approccia al settore giovanile, e passano da una situazione ludica ad una pallacanestro più concreta. Con questi ragazzi stiamo facendo un buon lavoro, siamo soddisfatti, e sono molto contento per le responsabilità che sia Giordano che Davide mi hanno dato, maggiori rispetto all’anno scorso. Le considero il segno di un percorso personale di crescita che procede verso quella che potrebbe diventare una professione a tutti gli effetti”.
Usi ancora il condizionale, come un anno fa?
“Posso solo dire che qui mi trovo benissimo, e cerco di farmi trovare pronto rispetto a quello che mi viene chiesto. Se poi questa opportunità dovesse aprirmi altre strade, spero di essere sempre capace di intraprenderle”.
In tre anni hai avuto accanto maestri del mestiere. Prima Fedrigo, poi Consolini e D’Atri. Cose che aiutano a maturare più in fretta.
“Maestri è la parola giusta. Il primo insegnamento è che bisogna cercare di comprendere la pallacanestro a 360 gradi, avere una padronanza della materia a tutto tondo. Io sto cercando di formarmi, da questo punto di vista, loro sono professionisti di lungo corso e hanno una conoscenza assoluta, non solo dal lato tecnico o tattico, ma anche da quello mentale, psicologico”.
Oggi ti trovi ad allenare ragazzini che stanno entrando nel settore giovanile, gli Esordienti, e giovani più formati che si avvicinano alla fine del percorso giovanile, gli Under 16. Mondi paralleli, eppure diversi.
“Decisamente. Con il gruppo Esordienti abbiamo ancora dei bambini, che come dicevo arrivano da una fase di gioco e devono approcciarsi a un nuovo tipo di attività, mentre gli Under 16 sono ragazzi già focalizzati verso un mondo adulto. Alcuni di loro si allenano già anche con l’Under 18 con regolarità. Sono giocatori che cercano di completare il loro percorso, e verso di loro dobbiamo avere attenzioni e anche pretese diverse. L’approccio a queste due realtà richiede anche un cambio di mentalità. E io in questo momento ho due modi di allenare completamente differenti. Davide è molto delicato, sa stimolare i ragazzi anche con toni più pacati. Giordano si confronta con atleti più formati, è giusto che pretenda con maggior vigore”.
Intanto, accanto all’impegno alla Porelli continua quello nelle aule universitarie. Percorsi che a ben guardare vanno in un’unica direzione.
“Ormai mi manca un esame nella specialistica di Scienze Motorie, il corso di “Scienza e Tecnica dell’attività sportiva”. Se tutto va bene, a luglio mi laureo. E certamente i miei studi mi danno fiducia, e rafforzano la mia presenza qui. Dove tocco con mano i piccoli passi avanti che sto facendo. Con Davide ho molta libertà, mi lascia parti di allenamento in cui posso insegnare ai ragazzi, è una bella opportunità per arricchire il mio bagaglio personale”.
Hai sempre detto che allenare i giovani è la cosa che ti piace di più. Cosa significa, per te?
“La responsabilità aumenta, ora siamo alle prese con ragazzini che sono come un foglio bianco su cui noi dobbiamo scrivere appunti importanti. Sulla pallacanestro, sull’approccio alla passione sportiva, sulla vita stessa. Tocca a noi dare una prima impronta a giovani che magari tra otto, dieci anni saranno giocatori formati. Cercare di fare bene dall’inizio significa incanalarli su un percorso che può diventare piacevole e produttivo”.
E cosa significa farlo dentro questa palestra, con il simbolo della Virtus sul petto?
“Portare avanti un percorso in casa Virtus è un valore aggiunto anche per noi che alleniamo. E’ quello che sognavo quando ho iniziato a insegnare minibasket a Budrio. Essere stato chiamato in un ambiente come questo è un onore, e logicamente anche una responsabilità da onorare giorno dopo giorno”.