Nella grande famiglia del settore giovanile è arrivato da poco, ma è come se ci fosse da sempre. Perché la sua vita è un lunghissimo atto d’amore nei confronti della V nera, che quanto ad affetto ne fa quasi un veterano. Oggi Roberto Gamberini è dirigente accompagnatore del team Under 13 di Virtus Unipol Banca, oltre a collaborare con l’ufficio stampa della società, ma la storia parte da molto prima, da quando era poco più che un bambino.
“Era il 1975, andavo a trovare mia nonna che abitava alla Croara e di fronte c’era la casa di Berti, il proprietario di Sinudyne, che aveva un playground a cielo aperto dove spesso veniva a giocare Gigi Serafini. Mi innamorai del basket e della Virtus, un anno dopo ero già a palazzo, coi miniabbonamenti, a fare festa per il settimo scudetto. Avere gli abbonamenti era quasi impossibile: papà non l’aveva trovato, così mi portava in piazza Azzarita e veniva a prendermi a fine partita. Sono stato abbonato fino al 2003, poi ho dovuto rinunciare perché già lavoravo assiduamente nel mondo del basket e spesso dovevo saltare l’appuntamento con le partite”.
Prime esperienze da allenatore, poi subito dietro alla scrivania…
“Ho iniziato ad allenare alla fine del servizio di leva, nel 1987, all’Annunziata. Poi ho fatto l’assistente allenatore delle giovanili al San Mamolo fino al ’96, e successivamente mi sono trasferito a Trebbo nell’anno in cui passammo dalla Promozione alla C2 in una stagione, avendo acquisito i diritti a disputare la D. Accompagnatore della prima squadra fino al 2000, quindi mi sono trasferito alla Moto Malaguti di San Lazzaro, chiamato dal presidente Zanetti: accompagnatore della prima squadra in B2 e di alcune formazioni giovanili”.
Nel 2002 inizia il lungo capitolo della tua vita nel basket legato al Gira.
“La Moto Malaguti rinunciò alla Serie B cedendo i diritti a Modena, ne seguì una specie di fusione delle giovanili con Ozzano e iniziai a frequentare quel palazzo. Fino ad entrare nell’ufficio stampa del Gira, dove sono rimasto fino a giugno del 2010. Anni indimenticabili, al punto che quando tutto finì decisi di prendermi una pausa. Che è durata parecchio, più di tre anni lontano dal basket”.
Fino alla chiamata che ti ha portato dentro la casa che sentivi tua fin da ragazzo. Alla Virtus.
“Lo ricordo ancora, quel giorno. Era un sabato di dicembre del 2013, vigilia della partita casalinga della Virtus contro Brindisi. Se poi possiamo uscire dal cliché dell’intervistatore e dell’intervistato, confessiamo pure che me la facesti tu, chiedendomi se avrei avuto piacere di dare una mano all’ufficio stampa di cui in quell’anno eri diventato responsabile. Per dire quanto ci ho pensato, il giorno dopo ero già alla Unipol Arena. E da allora non ho perso una partita in casa della prima squadra, e anche quelle saltate in trasferta si contano sulle dita di una mano…”
La Virtus ti ha risvegliato una passione che era soltanto sopita.
“Ero amareggiato per la fine dell’avventura ad Ozzano, avevo deciso di staccare la spina. Ed ero anche un po’ arrugginito quanto a regolamenti. Per dire: proprio con Brindisi, sistemato dietro la panchina, a un certo punto vedo il cronometro ripartire da 14 secondi dopo un rimbalzo offensivo. Credevo si fosse guastato… Ma ho fatto presto a recuperare sulle regole, aggiungendo quel po’ di esperienza che avevo alle spalle”.
Entrare in casa Virtus deve essere stata una bella emozione…
“Una sensazione meravigliosa e diversa. Un altro modo di emozionarsi a bordo campo, non più da semplice tifoso ma da professionista che deve saper controllare i sentimenti, e che sa quello che c’è dietro quei quaranta minuti, quanto si è lavorato tutti insieme per arrivarci”.
All’inizio di questa stagione, l’ingresso nel settore giovanile.
“E’ stata una sorpresa, non me l’aspettavo. Lavoro a un passo dalla palestra, quando esco nel tardo pomeriggio mi piace passare da via dell’Arcoveggio, venire a fare due chiacchiere con persone che ormai sono diventate amiche. Quando Federico Vecchi e Marco Patuelli mi hanno proposto di dare una mano, ho accettato con piacere. Mantenendo il rapporto con l’ufficio stampa della società, un legame che mai vorrei interrompere. Mi hanno designato come dirigente accompagnatore dell’Under 13, e dopo questi mesi posso dire che è un piacere lavorare con una persona come Riccardo Pezzoli, professionista che sa motivare il gruppo, non solo i ragazzi che scendono in campo”.
L’inserimento non è stato difficile.
“Mi sono inserito nel settore giovanile, ed è un rapporto che va oltre quello con l’Under 13. Quando sei dentro, vedi crescere e migliorare tutte le squadre, tutto il movimento, ed è bello. Ti viene voglia di seguire anche le altre formazioni, e infatti ero a bordocampo a molti incontri dei gruppi di Mattia Largo e Cristian Fedrigo, per dire. Ho uno splendido rapporto con Marco Patuelli, che ci porta a fare gruppo anche oltre i momenti delle partite dei ragazzi. Insomma, una volta che entri nel meccanismo è un vortice che ti coinvolge completamente”.
Cosa significa seguire i ragazzi di una formazione Under 13?
“E’ qualcosa di molto formativo, che arricchisce. Credo che i bambini a quell’età debbano soprattutto divertirsi, stare insieme e imparare a comportarsi “da virtussini”, con correttezza e senso etico. Io ci tengo al fatto che imparino a stare insieme, anche al di fuori del campo. E mi piace che comprendano che non stanno indossando una maglia qualunque, ma rappresentano una società che ha fatto la storia della pallacanestro. E per me che la seguo e la sostengo da quarant’anni, trasmettere questa semplice nozione è una priorità. Poi, se arrivano risultati positivi è un bene, ma il miglioramento collettivo è qualcosa che va oltre i punteggi delle partite. Spero che questi ragazzi crescano con una certezza: che far parte della Virtus è un modo unico di fare sport. Non significa semplicemente giocare in una squadra, significa “fare” squadra”.