Giusto un anno fa usciva un pezzo del sottoscritto avente per oggetto la sostanziale inaccessibilità per i giornalisti dei luoghi di allenamento dei club di Serie A di calcio. Pensavo di avere fatto un lavoro utile per i colleghi, anche se debbo dire che la eco suscitata è stata inferiore alle mie attese. Evidentemente siamo così tanto assuefatti ai muri, ai teloni neri, alle porte chiuse che oramai li accettiamo supinamente. Nei miei anni di vicepresidente dell’USSi ho del resto potuto constatare come la Lega di Serie A, di fatto, possa ben poco rispetto alle alzate d’ingegno di più o meno importanti padroni del vapore. E nemmeno i faraonici contratti con Sky o Premium agiscono da deterrente nei confronti di chi si sente danneggiato o, semplicemente, vuole una stampa più docile. Negli ultimi tempi ci sono state prese di posizioni eclatanti, su cui l’USSI è prontamente intervenuta, ma anche smottamenti progessivi dello spazio dei giornalisti su cui forse si può fare poco ma almeno segnalare che notiamo invadenze.

Prendiamo il caso Bologna, club che occupa la terza fascia della classifica (sotto le coppe e il centro classifica, sopra le retrocedende). Nella settimana che segue la sconfitta con la Lazio prima protestano i tifosi contro la squadra: i gruppi organizzati disertano la trasferta di Reggio contro il Sassuolo. Per tutta risposta, almeno quattro giocatori vengono colti a fare le ore piccole in una discoteca e la cosa segnalata da un tifoso su un social. Poi protesta il club contro i media, rei di avere ingigantito la cosa (!?, il Bologna li ha multati), al Mapei Stadium viene proclamato il silenzio stampa (ma non nei confronti di Sky e Rai). 

Lunedì l’ad Fenucci parla alla convention della tv della Curia petroniana, giovedì Di Vaio va ospite a un’altra emittente (i giocatori sono assenti dagli schermi delle tv locali da oltre sette anni!). Nel frattempo la divisione comunicazione della società presieduta da Joey Saputo (il quale possiede un club in Major League Soccer, lega in cui il silenzio stampa è vietato e tutti i giocatori sono obbligati a essere disponibili con i media ogni giorno) sforna due interviste a giocatori (Di Francesco e Maietta), uscite solo sulla web tv rossoblù. E le “ripetute” della squadra vengono non a caso svolte in mezzo ai tifosi presenti al centro tecnico di Casteldebole, quasi ad ammorbidire le porte chiuse che puntualmente ricompaiono il giovedì. 

A Donadoni (diversamente da quanto capitò con Maifredi e Ulivieri) interessa il giusto vivere la vita della città: non è mai stato ospite delle emittenti locali, nemmeno a parlare del suo passatempo preferito, il golf, e non va alle cene dei tifosi.

Ma queste sono scelte. Sul resto, segnatamente sul rapporto tra interviste modello “house organ”, come sono quelle per la tv della società, e libera attività giornalistica, occorre sollecitare la Lega affinchè si vari uno schema di comportamento che lasci libertà imprenditoriale ma consenta anche il lavoro “autonomo” della stampa. Il “modello americano”, tanto vagheggiato sotto le Due Torri, andrebbe benissimo: infatti vieta ogni ingiustificato arrocco perchè contrario allo sviluppo promozionale e commerciale.

Se il nostro ruolo si riduce a quello di megafono di prese di posizione ufficiali, mi domando a che cosa serviamo. E se non è interesse anche di CONI, FIGC e Lega Calcio avere una controparte autorevole e indipendente e un dialogo aperto.

Diversamente non ci resta che commentare. Ed essere critici su posizioni che ci danneggiano e non comprendiamo.

Alberto Bortolotti – consigliere nazionale Ussi (Unione stampa sportiva italiana)

(Pubblicato su www.ussi.it)