Sono storie scritte male, hanno finali sbagliati. E noi non vogliamo ricordarle per allungare il dolore, ma perché raccontano di una vita intensa, di una passione pura, di un sorriso indimenticabile. Quello di Enrico Ravaglia. Il sorriso contagioso di Chicco, che ci lasciò una notte maledetta di diciassette anni fa, alla vigilia di un Natale che doveva essere di gioia. A ventitré anni, con quei ventitré punti tra le mani, segnati da poche ore a Cantù, nella notte del ventitré dicembre. Numero che ricorre, dannato.
Una vita spezzata, mai cancellata. Chicco è ancora tra noi, nella tenace voglia di ricordarlo sempre, negli amici che ancora lo raccontano sorridendo, nell’unione di Morena e Bob contro tutte le tempeste della vita, nell’applauso e nel coro dei Forever, nelle fotografie che adesso sono pezzi importanti di una storia. La grande storia della Virtus, di cui lui voleva essere parte, da cui lui era passato portando freschezza, gioventù, talento.
Un predestinato fin dagli anni in cui seguiva papà, quel Bob Ravaglia di un basket appena minore, ma vissuto alla grande, uno dei più forti tiratori della sua epoca. E coltivava la passione che lo avrebbe portato sulle ribalte importanti del basket italiano. A diventare amico, o fratello minore, di una stella come Sasha Danilovic, che in campo ne divenne mentore, quasi a proteggerlo da ciò che ancora poteva essere o sembrare più grande di lui.
Ricordiamo Chicco Ravaglia perché è stato un talento naturale, un ragazzo divertente e divertito, un giocatore vero, un compagno dei nostri anni spensierati. Ricordandolo, lo sentiamo sempre accanto con la sua forza d’animo e la sua genuinità. Non è un anniversario, questo. E’ semplicemente un saluto, a un vecchio amico.