Un anno fa, di questi tempi, Francesco Nieddu era più o meno a metà strada nella sua prima stagione da allenatore delle giovanili della Virtus. Guidava l’Under 16, e raccontava del suo ingresso nel mondo bianconero in questi termini: “Mi sono impegnato molto per capire quello che avevo intorno, per relazionarmi con persone che erano qui da molto tempo, iniziando a proporre anche qualcosa di mio, in sintonia con tutti”. Un ingresso discreto, equilibrato, e allo stesso tempo importante per il know-how e l’esperienza che aggiungeva al settore giovanile. Un anno dopo, Nieddu è immerso nel progetto, e cammina sicuro dentro la sua seconda stagione alla Porelli. Qualcosa è cambiato, per forza di cose.
“Sicuramente conosco molto meglio le persone, e non parlo soltanto degli allenatori ma anche di tutti quelli con cui non mi rapporto quotidianamente, ma che fanno squadra e permettono al meccanismo di funzionare. I dirigenti, lo staff medico, tutto il personale della società. E’ chiaramente più facile rapportarsi con tutti. Quando sono arrivato, all’inizio della passata stagione, conoscevo praticamente soltanto Federico Vecchi, che mi ha voluto qui. E’ stato importante sapere che lui mi voleva alla Virtus, un aiuto imprescindibile. Ora credo di essermi fatto conoscere un po’ da tutti”.
Quest’anno sei impegnato come assistente di Vecchi per quanto riguarda Under 20 e Under 18, e di Fedrigo nell’Under 14. Impegni diversi dentro un progetto comune di ampio respiro.
“Come ho detto, con Federico c’è una conoscenza pluriennale, fatta di stima e condivisione. Qui abbiamo alle spalle un anno vissuto insieme, con lo stesso gruppo, e proseguiamo un lavoro comune, già avanzato, a livello di metodo e sintonia. Con Cristian non avevo un rapporto diretto dal punto di vista professionale, così abbiamo speso i primi mesi a conoscerci meglio e ad imbastire un programma tecnico molto diverso, vista la fascia d’età a cui facciamo riferimento. Abbiamo raggiunto un ottimo equilibrio, anche con Edoardo Costa, che ci permette anche di conciliare l’attività in campo con gli impegni di Cristian con la prima squadra, oltre ai miei con Under 18 e Under 20. Un lavoro diverso sia dal punto di vista tecnico che da quello gestionale. Bisogna essere sempre “sul pezzo”, e questo è stimolante”.
Nell’Under 18, che già ti vedeva al fianco di Vecchi, sono confluiti ragazzi dell’Under 16 che hai guidato nella scorsa stagione. Un risultato che certamente soddisfa chi ha tenuto il timone…
“Il gruppo dell’Under 16 che ho guidato l’anno scorso aveva tanto entusiasmo e una voglia enorme di giocare e imparare. Mi fa piacere vedere alcuni di quei ragazzi che procedono nel loro percorso di crescita, e averli ancora vicini. Non sono abituato a fare nomi, ma in questo caso uno lo vorrei spendere, perché è quello di chi ha avuto più sfortuna. Parlo di Guglielmo Giuliani, che si è infortunato al ginocchio l’estate scorsa e ha dovuto subire un intervento chirurgico di ricostruzione del legamento collaterale posteriore del ginocchio destro. Come gli altri, stava ritagliandosi un suo spazio grazie all’impegno in due campionati, aveva fatto un bel percorso e umanamente mi dispiace che abbia dovuto fermarsi. Gli auguro un futuro felice”.
Hai parlato di “un lavoro diverso” per le categorie nelle quali sei impegnato: da una parte, ragazzi che sono a un passo dal basket adulto, dall’altro giovani atleti che hanno ancora un lungo percorso da compiere nelle giovanili.
“Premesso che lavorare con i più piccoli mi piace, e l’ho fatto a lungo in passato, devo dire che per quanto riguarda l’Under 14 ci concentriamo sullo sviluppo fisico, tecnico e anche caratteriale dei ragazzi, mettendo i primi mattoncini per cercare di formare le persone, oltre che gli atleti. Con i più grandi si tratta invece di smussare gli angoli, da un lato rafforzare ulteriormente le certezze, dall’altro aiutarli a colmare le lacune prima di affrontare il salto nella pallacanestro dei grandi, cosa che a molti ragazzi delle nostre giovanili sta succedendo”.
E’ davvero così: nel roster della prima squadra, in Serie A2, sono confluiti quattro elementi arrivati dal settore giovanile.
“Ed è qualcosa di fantastico. Vedere Pajola o Penna, Oxilia o Petrovic in campo alla Unipol Arena ha effetti positivi sui più piccoli. Penso a un ragazzo del 2003 che gioca e trova in questi esempi uno stimolo enorme. Immagino cosa può pensare: allora posso farcela anche io, se ci metto impegno, passione e dedizione. Per giovani che fanno un percorso così bello e impegnativo, avere un obiettivo tangibile è qualcosa di unico”.
Francesco Nieddu in casa Virtus per il secondo anno consecutivo: che effetto ti fa, a pensarci?
“Questa è una società che, al di là del blasone e della storia, a livello organizzativo ti dà il massimo. Vai in palestra e hai a disposizione tutto quello che ti occorre per concentrarti su ciò che ti piace di più, cioè allenare. In più, la presenza contemporanea alla Porelli di tanti allenatori preparati ed esperti è un arricchimento quotidiano. E’ vero che nel nostro mestiere non si finisce mai di imparare, e qui io imparo qualcosa ogni volta che entro in palestra”.
E per i ragazzi che a loro volta entrano alla Porelli per allenarsi, cosa significa e cosa deve significare essere parte della Virtus?
“E’ un tema che affrontiamo spesso, tra noi allenatori. Qui un giovane trova una formazione di altissimo livello, dal punto di vista tecnico e personale. Credo che i nostri giocatori debbano comprendere che non è così dappertutto, e che poter giocare qui è davvero una fortuna. Perché se si impegnano è davvero facile migliorare, sotto tutti gli aspetti. Ogni giorno bisogna essere contenti e grati di essere alla Virtus, vale per loro come per noi tecnici”.